mercoledì 31 ottobre 2007

Giù la maschera

Ieri sera Lorena mi raccontava che finalmente, dopo anni, è riuscita a dire al suo ex ex cosa davvero pensa di lui, circa le sue scelte di vita e l'ostinazione a fare delle cose solo in virtù dell' apparire, di affermarsi per una pura rivendicazione egoica, che tuttavia non lo lascia mai davvero soddisfatto e felice della sua vita.
L'ostinazione a fare delle cose non tanto per seguire una vera voce del cuore, quanto per costruire e riflettere una certa immagine di sé su chi ci osserva, ci ammira e, perché no, ci invidia, è più di tutto una lama a doppio taglio per noi stessi e il peggio è che il più delle volte non ne siamo neanche consapevoli.
Così mentre Lorena parlava fieramente della sua soddisfazione per aver vuotato il sacco una volta per tutte, felice di quella serenità e pace che insorgono quando la verità fluisce in superficie senza resistenze o timori di ferire, offendere, l'altrui sensibilità, io mi sentivo parte in causa e in un modo o nell'altro mi accorgevo che le parole, a tratti dure, di Lorena, potevano dire qualcosa anche alla sottoscritta.
La cosa non mi ha offeso, né turbato. Non mi sono sentita ripiegare sulle mie vergogne interiori, né ho tentato fasullamente di difenderle. Ho respirato, sorriso e preso atto una volta per tutte che nella mia vita spesso ho agito esattamente allo stesso modo. Ho compiuto scelte, parte delle quali oggi vorrei poter cambiare, per pura necessità di preservare l'immagine che avevo di me e che credevo di dover così tutelare.
Non che non ne fossi già a conoscenza. Ma alle volte rinfrescarsi la memoria, in certi momenti, aiuta a capire da dove si viene e dove si sta andando.

Spesso mi sento uno schifo e questo perché in questo momento l'immagine che ho e che do di me, non risponde alle aspettative che ho costruito nel tempo intorno alla mia persona, al mio nome.
Il mito, la leggenda della ragazza che dalla mediocrità di paese si eleva per conquistare il mondo, la libertà dagli schemi e dalla routine è oggi infranto.
Sono moglie, sono mamma, sono "casalinga" (come è scritto alla voce "professione" sull'assicurazione della mia macchina) sono disoccupata e vivo ancora nel mio paese natale, in un appartamento in affitto proprio sopra l'attività commerciale di famiglia.
Per fortuna ho sposato un americano, è questa è una variante ideologica che tuttavia non differenzia la mia condizione nella pratica. Litigo spesso con lui ugualmente per calzini e mutande sporche lasciate ovunque, per le cose di casa che sento ricadono tutte sulle mie spalle, e anche se la domenica pomeriggio non segue il calcio, anche io, come ogni donna mi sento trascurata ora per questo ora per quello. Certo non si aspetta da me il piatto pronto, anche se lo gradisce, e non si sognerebbe mai di impedirmi di fare qualsiasi cosa. Ma per il resto lo scenario è tipico.
Ergo: mi sento mia madre!!!

La gente mi incontra per strada e mi chiede "Ah, ma sei tornata?" e io mi affretto subito a rispondere "Si, ma ancora per poco...", come se l'essere qui fosse un grande fallimento per me, da nascondere all'occhio altrui. Ogni volta che questo capita, sento qualcosa dentro contrarsi ed emettere un suono acuto e stonato, un fischio fastidioso, una voce antipatica e saccente che si burla di me.
Leggevo ieri sull'oroscopo del giorno "lascia cadere la maschera" e ora ci sto provando.
Perché tenerla su è una gran fatica, che priva gli intenti migliori dell'energia più pura.

Cosa centra questo con la maternità? si chiederà qualcuno, se anche qualcuno arriverà a leggere
questo blog. Arrivo al punto. Spero.

Credo che essere un buon genitore, una buona madre nel mio caso, sia innanzi tutto essere una persona autentica. Ovvero lasciar cadere la maschera, lasciar cadere le aspettative costruite sulla propria immagine, perché, in caso contrario queste si riverseranno automaticamente sui propri figli. E quando per un caso o per un altro le aspettative alimentate negli anni non si concretizzano, professionalmente o sentimentalmente parlando, il senso di fallimento da cui ci sentiamo travolti, travolgerà inevitabilmente anche loro.
Essere autentici significa alle volte anche ammettere l'abbietto che in noi si cela, quella serpe viscida e strisciante che si arrocca dietro le migliori pretese di essere così o colà.
E non è facile, a nessuno piace riconoscere il "mostro" che è in se, la propria ombra, quell'essere avido di riconoscimento, che si manifesta spesso nei gesti eroici di umiltà... e invece se ne sta là solo per conquistarsi la sua medaglia d'onore.

Mchael dorme placido al mio fianco e oggi mi lascia anche questi attimi preziosi per scrivere e buttare giù la maschera ancora una volta. Sono sicura che mi ricapiterà di tirarla su e su altre volte in futuro, ma mi auguro che sempre, come ieri sera, arriveranno le parole di qualcuno (anche inconsapevoli di fare leva sul mio ego) a bussare alla porta della mia coscienza. Punzecchiando così quella consapevolezza che non riesce più a nascondersi dietro un dito...
ma che alle volte, addormentata, ha solo bisogno di essere stimolata.

lunedì 29 ottobre 2007

Certi giorni

Certi giorni cominciano proprio col piede sbagliato e invece di migliorare peggiorano col passare delle ore.
Certi giorni mi sento uno schifo, dentro e fuori, e preferirei scomparire dal mondo per qualche ora piuttosto che scendere dal letto e mostrarmi in giro.
Poco male quando questi giorni arrivavano fino a soli tre mesi fa. Per una giornata no non è mai morto nessuno. Oggi invece che il mio tempo è scandito dalle esigenze di qualcun altro mi sembra che in giorni come questi potrei anche commettere un omicidio.
Certo si fa per dire, ma il senso di frustrazione è tale che solo in questi momenti arrivo a comprendere cosa può spingere una madre, nell'estremo dell'esasperazione, a commettere azioni che quando ci pensi ti dici "ma come può una madre?".
Una madre è un essere umano infondo, un essere umano spesso tra i più fragili e volubili che esistano, soprattutto all'inizio di questa carriera a senso unico, che non sempre si intraprende per pura vocazione.
Il più delle volte ti capita di diventare madre quando proprio non ci voleva, quando meno eri pronta. In quei casi ti senti dire che un figlio è un dono divino, che è la cosa più bella che potesse capitarti.
Ed è vero, i figli so piezz 'e core, ti cambiano la vita, ti offrono una gioia che niente al mondo è in grado di darti, quando ti svegli al mattino, ad esempio, e incontri il sorriso sdentato più bello del mondo e lo sai che è tutto per te, perché tu sei la mamma e come te non ce n'è.
Ma in certi giorni questo dono... Era meglio uno sciopero delle cicogne quel giorno.

So che suona terribile, ci sono donne che si disperano tutta la vita perché viene negato loro tale divino privilegio. Ce ne sono altre che farebbero carte false per avere un figlio che neanche hanno concepito nel loro ventre.
Eppure, sarò io sbagliata, in questi momenti ho la nausea anche per un solo ulteriore lamento, un nuovo fallimentare tentativo di farlo dormire un po', almeno il tempo di una doccia.
Sono madre da poco meno di quattro mesi e l'inizio è stato tremendo. Oggi le cose vanno decisamente meglio, eppure persistono giorni come questo, in cui il suo pianto mi batte nella testa come un martello pneumatico dopo una sbronza. E in giorni come questo lui trova pace meno di me e ci calpestiamo i piedi l'un l'altro fino all'alba di un momento migliore.
In genere è lui ad esordire con qualche sillaba di riappacificazione, con un timido sorriso a tastare il terreno del mio nervosismo. E io allora mi sento anche peggio...