lunedì 29 ottobre 2007

Certi giorni

Certi giorni cominciano proprio col piede sbagliato e invece di migliorare peggiorano col passare delle ore.
Certi giorni mi sento uno schifo, dentro e fuori, e preferirei scomparire dal mondo per qualche ora piuttosto che scendere dal letto e mostrarmi in giro.
Poco male quando questi giorni arrivavano fino a soli tre mesi fa. Per una giornata no non è mai morto nessuno. Oggi invece che il mio tempo è scandito dalle esigenze di qualcun altro mi sembra che in giorni come questi potrei anche commettere un omicidio.
Certo si fa per dire, ma il senso di frustrazione è tale che solo in questi momenti arrivo a comprendere cosa può spingere una madre, nell'estremo dell'esasperazione, a commettere azioni che quando ci pensi ti dici "ma come può una madre?".
Una madre è un essere umano infondo, un essere umano spesso tra i più fragili e volubili che esistano, soprattutto all'inizio di questa carriera a senso unico, che non sempre si intraprende per pura vocazione.
Il più delle volte ti capita di diventare madre quando proprio non ci voleva, quando meno eri pronta. In quei casi ti senti dire che un figlio è un dono divino, che è la cosa più bella che potesse capitarti.
Ed è vero, i figli so piezz 'e core, ti cambiano la vita, ti offrono una gioia che niente al mondo è in grado di darti, quando ti svegli al mattino, ad esempio, e incontri il sorriso sdentato più bello del mondo e lo sai che è tutto per te, perché tu sei la mamma e come te non ce n'è.
Ma in certi giorni questo dono... Era meglio uno sciopero delle cicogne quel giorno.

So che suona terribile, ci sono donne che si disperano tutta la vita perché viene negato loro tale divino privilegio. Ce ne sono altre che farebbero carte false per avere un figlio che neanche hanno concepito nel loro ventre.
Eppure, sarò io sbagliata, in questi momenti ho la nausea anche per un solo ulteriore lamento, un nuovo fallimentare tentativo di farlo dormire un po', almeno il tempo di una doccia.
Sono madre da poco meno di quattro mesi e l'inizio è stato tremendo. Oggi le cose vanno decisamente meglio, eppure persistono giorni come questo, in cui il suo pianto mi batte nella testa come un martello pneumatico dopo una sbronza. E in giorni come questo lui trova pace meno di me e ci calpestiamo i piedi l'un l'altro fino all'alba di un momento migliore.
In genere è lui ad esordire con qualche sillaba di riappacificazione, con un timido sorriso a tastare il terreno del mio nervosismo. E io allora mi sento anche peggio...





1 commento:

Anonimo ha detto...

La mente-materna di mia nonna...

Circa un mese fa, quando mia nonna era ancora viva, ci ritrovammo sedute sul suo letto: io, mia madre e mia zia. Tre generazioni di donne in cerchio, nel disperato tentativo di comunicare. Mia nonna, con il suo attaccamento alla vita e l’incapacità di liberarsene; mia madre, con il suo attaccamento a sua madre e l’incapacità di liberarsene; mia zia, con il suo accanimento nei confronti dell’attaccamento delle altre due. Solo una vaga somiglianza in alcuni tratti somatici tesseva un sanguineo filo conduttore tra noi quattro. Apparentemente. Eppure, la mente-materna di mia nonna ci aveva forgiate tutte quante. La notte prima del suo funerale, circa un mese dopo la scena appena descritta, i miei pensieri s'intrecciavano così:
“92 anni fa all’incirca 33.580 giorni, 180 dei quali sono stati, per la nonna, giorni di assoluta sofferenza. Ora mi chiedo, ne è valsa la pena? 180…su…33.580, è una buona percentuale? Una malattia deteriorante vale una vita lunga come quella della nonna? Valgono i suoi 18 fratelli se il giorno del suo funerale la vecchiaia e la lontananza, oltre che la morte, non rendono possibile a nessuno di loro di essere presente? La risposta è si, credo. Ne vale sempre, comunque, la pena. Ci sono stati all’incirca altri 33.400 giorni in cui la nonna ha vissuto, parlato, scherzato, respirato. Ci sono state lacrime di gioia, oltre che di dolore. E di riso, data la sua natura giocosa. La più grande perdita è stata infatti la sua risata, il più grande dolore non sentirla più prender in giro nessuno! Lungi dal voler stare qui a descrivere una persona che già tutti conosciamo, a rievocare ricordi che sono assolutamente personali e che ognuno custodisce dentro in maniera del tutto privata, vorrei lanciare un sassolino. E invitare tutti a riflettere su una parola: accettazione. Un giorno, su un libro ho letto un frase che più o meno suonava così: ‘vorrei che mi fosse concesso il coraggio di cambiare quello che posso cambiare; la serenità di accettare quello che non posso cambiare; e la saggezza di distinguere tra le due cose’. Con la speranza di imparare a distinguere, un giorno, saluto il corpo di mia nonna e sorrido alla sua anima, libera finalmente”.
La nonna mi manca ma è come se fossi preparata a questa mancanza: materna-mente, mi ci aveva abituata.

LoC