giovedì 1 novembre 2007

Un anno fa

Un anno fa.
Prestissimo nella mattina mi sono svegliata... piangendo... pensando a "I ponti di Madison County", mentre mi giravo e guardavo Nathan ancora addormentato.
Carica di ansia l'ho svegliato, ci ho litigato e sono uscita di casa infilandomi le prime cose tirate fuori dall'armadio, con un pensiero fisso nella testa: trovare una farmacia aperta per comprare un test di gravidanza.
A piedi, sotto la pioggia, senza l'ombrello, da San Lorenzo a Termini, con la paura di riscoprirmi incinta. Mille le opzioni contemplate, tra cui quella di scappare nel silenzio della notte nel posto più lontano che potessi immaginare... scappare dal rischio quasi inevitabile di finire intrappolata nella routine domestica e in un ruolo al quale non avrei saputo resistere.
Tornata a casa mi sono chiusa in bagno, ho fatto pipì nell'astuccetto dopo aver letto le istruzioni infinite volte, attendendo minuti che sembravano ore. Ed ecco il verdetto: bollino rosso comparire dove non avrebbe dovuto, dove non avrei voluto e infondo, per tanto tempo ho desiderato.
Pianto, pianto, "No, non è possibile...", pianto.

Sono uscita dal bagno tremante, con l'astuccetto tra l'indice e il pollice, retto a distanza, come se fosse un ordigno che poteva esplodere da un momento all'altro.
"Nate, sono incinta". Risata isterica. Abbiamo litigato una volta ancora.
Poi, ho trascorso il resto del giorno seduta sul balcone, a parlare al telefono con le ragazze, a meditare incredula, confusa. Timorosa d'essere felice.

Questa mattina, dimentica dell'insolito anniversario mi sono svegliata con un diavolo per capello. Michael ha fatto suonare la sua sveglia troppo presto e io l'ho presa peggio del solito. E così sono passate le successive quattro ore, nel tentativo di tirare ancora un po' di sonno, malamente, quasi inutilmente. E sono scesa giù dal letto che mi veniva già da piangere, pensando a quanto inutile e insensata mi sento in questi giorni, intrappolata infine in quel ruolo che non reggo, in una routine che detesto.
Non posso negarlo, fare la mamma non mi calza a pennello. E quando dico "fare" la mamma, non intendo dire "esserlo". Non fare altro che questo, non avere una prospettiva, solo tanti sogni nel cassetto, progetti forse irrealizzabili che probabilmente si perderanno insieme al resto, al tempo perso a piangermi addosso.
Come un tempo.
Ma oggi è diverso.
Oggi cadere è portare qualcun altro nel mio baratro. Oggi fallire è insegnare a qualcun altro quello che io ancora oggi mi rifiuto di imparare, e cioè che la vita è tutta questa, che le cose vanno solo in un modo e non esistono infinite possibilità, infiniti finali per ogni storia... Quello che mi dicevano da bambina "Vedrai, quando sarai grande cambierai idea... i sogni sono sogni, la realtà è un altra cosa"è una lezione che non vorrei mai dover insegnare di mio pugno alla mia prole.

Questo giorno è andato così, cadente insieme alla pioggia e al grigiore di un autunno arrivato d'improvviso. Nella durezza del mio cuore, nella tristezza di lacrime che un anno fa piangevo per il timore di quello che sono oggi... eppure anche tra le risate di Michael, che nonostante tutto si accontenta di poco per essere felice.
Lo osservo. Lo ammiro. Nel suo impegno costante anche solo nell'osservarsi le mani; nel suo saper ridere di gusto anche con una stronza come me, per qualche verso strampalato di animale o due bacini sulla pancia al cambio del pannolino.
Lo amo infinitamente e mi perdo nel suo odore, eppure a tratti vorrei fuggire da lui e nascondere la mia debolezza ai suoi occhi attenti, che alcune mattine mi guardano silenziosi, in attesa di un mio sorriso per poter sorridere.

2 commenti:

Tati ha detto...

Che pensieri terribile. Purtroppo hai la mente inquinata dal tuo essere sud italiana. I sogni sono le cose che ci spingono avanti, sempre a migliorarsi, a divertirsi, a imparare.

Avrai delle giornate in cui ti sentirai giù, ma senza i sogni, sarai veramente persa

Anonimo ha detto...

Il commento prima non è di Tati, ma di suo marito!